Le prime attestazioni documentarie che fanno riferimento a Piazzola datano alla prima metà del XIII secolo: è del 1229 una sentenza emessa da Giovanni Donaldo podestà di Padova nei confronti di un certo Martinello da Piazzola notaio; similmente i documenti ricordano come in loco sorgesse un castello (una cui traccia si può forse cogliere all'esterno dello zoccolo sopra cui si eleva la parte centrale dell'attuale villa Contarini) appartenente alla nobile famiglia dei Del Dente, che ritroveremo nel prosieguo del nostro racconto. 

Il riferimento all’esistenza di un castello induce pertanto a datare la “fondazione” di Piazzola al X secolo; in particolare gli studiosi ne correlerebbero la costruzione alle scorrerie degli Ungari ed alla sanguinosa sconfitta subita da Berengario nel 899 sulle rive del Brenta, in seguito alla quale molti villaggi veneti corsero ai ripari fortificandosi. Sappiamo inoltre che sempre le incursione ungare costrinsero alcune famiglie del milanese a trovare riparo nel padovano, tra le quali quella dei Del Dente poc’anzi ricordata.

È pertanto plausibile ipotizzare che attorno all’anno 900 sia stato edificato, tra i tanti, anche il castello di Piazzola e che esso, attraverso vicende che non siamo in grado di ricostruire, venne in possesso dei Del Dente.

Quel che è certo è che questa famiglia vi ebbe dominio, a parte una breve parentesi in cui il castello fu posseduto dal potente Ezzelino III da Romano (che rappresentò un autentico terremoto nella geografia politica del tempo), fino alla metà del XIII sec. allorquando essa vendette la proprietà ad Alessandro Belludi. La famiglia dei Belludi, di origini popolane, si era arricchita in breve tempo con il commercio delle pelli, e Alessandro pelliparius (pellicciaio) acquistò il Castello di Piazzola ed i 422 campi annessi con il preciso intento di innalzare il proprio rango e quello del suo casato. 

Ma il dominio dei Belludi non fu duraturo: il figlio di Alessandro, Zambonetto, significativamente definito “ribelle” nella “Guida di Padova e della sua Provincia” (1842), entrò in collisione con il Comune di Padova, il quale dapprima (1315) confiscò il castello e successivamente (tra il 1316 e il 1318) lo vendette a Nicolò da Carrara dell’omonima famiglia che di lì a pochi anni avrebbe imposto la propria signoria su Padova.

Le vicende di Piazzola, pertanto, seguirono da vicino quelle di Padova e dei suoi signori, che la tennero come feudo di famiglia fino al 1413, anno in cui, a seguito delle nozze di Maria Carrara con Nicolò Contarini, passò a quest’ultima nobile famiglia veneziana.

Tale evento si rivelò di primaria importanza tanto più se collocato nello specifico contesto politico-militare dell’epoca: Venezia stava proprio in quegli anni estendendo il proprio dominio sull’entroterra veneto (il cd. “Stato da Tera”) e nel 1405 Padova stessa aveva effettuato la sua “dedizione” (con contestuale estromissione violenta dei Carraresi dai giochi della politica).

Per Piazzola l’ingresso in un’entità di dimensione sovraregionale significò da una parte la perdita della residua rilevanza politica, dall’altra l’entrata in un periodo di (relativa) prosperità economica, di stabilità e di pace: infatti il patriziato veneziano, man mano che venivano a costituirsi i domini di Terraferma, estese progressivamente i propri possedimenti fondiari i quali avevano come proprio centro la “villa”, che proprio in quegli anni venne ad assumere la duplice funzione di centro produttivo e di sede di rappresentanza e svago.  

Piazzola sul Brenta non fu esente da questa linea evolutiva: nella quarta decade del XVI sec. Paolo e Francesco Contarini diedero inizio ad imponenti lavori edilizi sul fortilizio, che venne inglobato nel nucleo originario della villa andandone a costituire il corpo centrale.

Sin da questa fase la villa doveva comunque svilupparsi con le due ali; l’edificazione del maestoso loggiato di destra, che rappresenta uno dei tratti più distintivi della villa per come ci è pervenuta, avvenne invece nella seconda parte del secolo successivo per impulso di Marco Contarini.

È questo probabilmente il momento di maggior splendore per la nobile famiglia veneziana e, di riflesso, per la sua “reggia” di Terraferma: ne “L’orologio del piacere”, ad esempio, si descrivono i fastosi festeggiamenti (con tanto di “feste nautiche”!) messi in scena in occasione della visita del duca Ernesto Augusto di Brunswick-Luneburg.

La presenza della villa, con tutta evidenza, caratterizzava fortemente la vita sociale ed economica del borgo. In particolare cruciali erano alcuni annessi e pertinenze della villa: oltre alle scuderie ed ai magazzini, nei quali confluivano i vari prodotti della terra, tutto il complesso gravitante sull’area del loco delle Vergini (tale nome deriva dalla presenza di un apposito istituto voluto dal Contarini per accudire giovani orfane) era occupato da attività “produttive” che rispecchiavano, ancora una volta, la duplice funzione della villa: vi si trovavano infatti una spezieria, un laboratorio per la trasformazione dei cibi, una stamperia ma anche un “Conservatorio musicale” (le fanciulle con particolari doti canore venivano infatti avviate al canto ed al teatro, apprendendo pertanto un’arte che le avrebbe portate ad esibirsi dinnanzi al padrone ed ai suoi ospiti), una “industria del ricamo” per la preparazione dei vestiti di scena così come di manufatti per la “casa”.

Nel XVIII sec. le vicende di Piazzola continuarono ad essere strettamente connesse a quelle della villa e dei suoi signori, i quali a loro volta seguirono il percorso di lento ma inesorabile declino della Serenissima (declino peraltro più politico-militare che economico; Piazzola in questo senso viene anzi a configurarsi come una delle più significative realtà protoindustriali dei domini veneziani, n.d.r.), che avrebbe cessato la sua secolare esistenza nel 1797, nel pieno delle guerre napoleoniche: Paolo Camerini, nel suo imponente lavoro su Piazzola (1925), cita tra gli unici esponenti della famiglia degni di nota di questo secolo Pier Maria Contarini (detto Alvise II, al quale andrebbe attribuito il merito del potenziamento delle “industrie del ricamo”) lasciando agli ultimi esponenti del casato un ruolo che potremmo definire di “esecutori testamentari”.

Il Camerini stesso, infatti, ricostruisce le intricate vicende attraverso le quali, in un quadro di generalizzato impoverimento del (decaduto) patriziato veneziano, la tenuta di Piazzola pervenne nel 1837 alle famiglie Giovannelli e Correr mentre parte dei beni mobiliari che la impreziosivano (insieme a quella di altre residenze) veniva donata a biblioteche e pinacoteche, parte veniva irrimediabilmente dispersa.

Quindici anni dopo, nel 1852, le famiglie Giovannelli – Correr cedevano a loro volta la villa ed i campi annessi a Silvestro Camerini, dando inizio ad una nuova fondamentale fase per il paese e per la villa.

Il periodo "cameriniano" può essere, grossolanamente, così riassunto: mentre Silvestro si rese protagonista dell’iniziale “accumulazione” di terreni e proprietà, al nipote Luigi va riconosciuto il merito di aver colto l’importanza delle installazioni protoindustriali di epoca "contariniana" e di aver su queste puntato. Tali premesse vennero sviluppate appieno dal figlio di Luigi, Paolo, il quale le inserì all’interno di una ambiziosa visione (significativamente definita da Carlo Fumian “utopia agroindustriale”) che non si limitò a trasformare Piazzola in un centro industriale di primo piano nel panorama provinciale ma ne mutò profondamente pure l’assetto urbanistico: Paolo Camerini infatti, ispirandosi ai più avanzati modelli di company town, costruì case per gli operai e per i dirigenti, scuole, circolo dopolavoro, ippodromo, cinema, etc.

Inoltre, a sancire la definitiva rinascita di Piazzola sul Brenta ed in non casuale continuità con il passato "contariniano", Paolo Camerini si rese promotore di numerose iniziative culturali - quando non di autentico mecenatismo - che riportarono all’antico splendore la restaurata villa.

Purtroppo il sogno "cameriniano" si infranse contro le molteplici difficoltà economiche che contraddistinsero l’intero primo dopoguerra e che portarono in grave stato di dissesto le aziende del conte; i tentativi di salvataggio degli anni Trenta dello scorso secolo si rivelarono inutili e la II Guerra Mondiale assestò il colpo di grazia definitivo.

Il secondo dopoguerra è pertanto segnato da cessioni, dismissioni e chiusure, con inevitabili e pesanti ricadute sull’intera popolazione di Piazzola. È anche però l’occasione per sganciarsi da un modello di sviluppo troppo legato (nel bene e nel male) alle sorti di un’unica famiglia e ripartire su nuove basi agganciandosi alla ripresa di quello che è stato definito “miracolo del Nord Est” e che hanno consentito di costruire Piazzola così come appare oggi, una città che – memore del proprio illustre passato – riesce a coniugare la laboriosità delle proprie industrie ad una vivacissima vita culturale.